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L'INTERVENTO DEL PROFESSOR GIOVANNI SCSMBIA IN OCCASIONE DELLA I GIORNATA INTERNAZIONALE DI SENSIBILIZZAZIONE E PREVENZIONE DELLE PATOLOGIE DELLA DONNA 

ABSTRACT
ABSTRACT

EREDITARIETA' NEL CARCINOMA DELL'OVAIO

PROF FRANCESCO CAMMARERI

Presidente A.DI.MO. Il carcinoma ovarico, anche se può svilupparsi a qualsiasi eta', e più frequente tra le donne di eta' superiore a 50 anni. le pazienti si presentano spesso lamentando sintomi vaghi e aspecifici a livello pelvico e addominale. Il carcinoma ovarico e' responsabile solo del 3% dei carcinomi che interessano il sesso femminile. il tumore rappresenta comunque la quinta più importante causa di morte da carcinomi tra le donne, dopo i carcinomi di polmone ,mammella, colon retto e pancreas.Gli studi epidemiologici a tutt'oggi non possono fornire un quadro esaustivo della donne a rischio di tumori dell'ovaio. tuttavia una rivisitazione ad unisono degli aspetti epidemiologici de tumori dell'ovaio può essere strettamente utile per capire le dimensioni e la rilevanza del problema, la sua evoluzione nel tempo, nonché il ruolo dei diversi fattori di rischio. Nel mondo si stimano 250 mila nuovi casi l'anno, in europa 100 mila casi in Italia 12 mila. I principali fattori di rischio per il carcinoma ovarico sono la storia familiare positiva e la presenza di alcune sindromi genetiche.Una storia di carcinoma ovarico in una parente di primo grado, di due parenti aumenta il rischio di ammalarsi rispettivamente del 5% e del 7%. Nelle forme ereditarie le donne che presentano mutazioni geniche sono esposte ad un rischio più elevato. La sindrome da carcinoma della mammella e del carcinoma ovarico ereditari che interessa una donna su 500 e' una mutazione autosomica dominante dei geni BRCA1 o BRCA2. La sindrome aumenta il rischio di sviluppare carcinoma dell'ovaie nel corso della vita e' del 12%. Le donne con una storia familiare di carcinoma ovarico o con una sindrome genetica associata alla malattia devono ricevere, rispettivamente un counseling genetico o informazioni relative sugli interventi di tipo preventivo disponibili.

BASI BIOLOGICHE PER FUTURE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE DEL CARCINOMA DELL'OVAIO G. Moscati,

M. Raffaele, A. Saponiero, M. A. Gaudino, N. Trigila

La proteina SPARC è una proteina dell’interstizio cellulare già studiata nel cancro della mammella e del pancreas iperespressa anche in alcuni tipi di cancro dell’ovaio. In questo contesto, gioca un ruolo importante sia per la crescita tumorale che per l’apoptosi e la metastatizzazione a distanza. Il meccanismo che sta alla base di tale iperespressione sembrerebbe essere l’ipermetilazione del promoter di SPARC.

Il paclitaxel e il docetaxel sono farmaci citotossici di comprovata efficacia in diverse tipologie di tumori solidi, principalmente nel cancro dell’ovaio e della mammella. La caratteristica peculiare tuttavia è l’idrofobicità per la quale necessitano di specifici solventi ai quali viene imputata la nota tossicità di tali farmaci. Abraxane rappresenta un taxano di seconda generazione veicolato da nano particelle di albumina grazie alle quali il farmaco abbatte la sua idrofobicità e non necessita di solventi tossici. Abraxane infatti sfrutta le caratteristiche naturali dell’albumina per legarsi reversibilmente al paclitaxel trasportarlo attraverso le cellule endoteliali e concentrarlo nell’area tumorale. Studi preclinici dimostravano che Abraxane (nab-paclitaxel) abbia un’efficacia maggiore nei tumori della mammella caratterizzati da alti livelli di SPARC. Studi di fase III hanno dimostrato che Abraxane aumenta la sopravvivenza delle donne affette da cancro della mammella metastatico, a fronte di un buon profilo di tossicità, rispetto al paclitaxel convenzionale, se somministrato come seconda linea terapeutica. Attualmente quindi Abraxane è indicato nel trattamento di seconda linea del cancro della mammella in fase avanzata e la sua efficacia sembra essere correlata ai livelli di SPARC. Sono in corso studi di fase II volti a dimostrare l’efficacia del farmaco anche in altri tumori solidi come il NSCLC, il melanoma e il cancro ovarico. In questo contesto, abraxane mostra una basso profilo di tossicità, in particolare in quelle pazienti che hanno sperimentato un’ipersensibilità al paclitaxel. Non esistono tuttavia studi di confronto, di superiorità e/ di non inferiorità con lo standard terapeutico attuale che è ad oggi l’associazione Carboplatino Paclitaxel. Il vantaggio derivante dall’uso di Abraxane rispetto al Paclitaxel tradizionale è quindi il minore profilo di tossicità con la conseguente riduzione dell’incidenza delle reazioni di ipersensibilità. Non è descritta in letteratura l’esistenza di una correlazione fra la platino resistenza e i livelli di SPARC. Questo potrebbe rappresentare il punto di partenza per altri studi anche al fine di selezionare quella minoranza di pazienti responsive ad Abraxane e in cui Abraxane rappresenterà una terapia mirata.

(English) The protein SPARC is a protein interstitial cell already studied in breast cancer and pancreas also overexpressed in some types of ovarian cancer. In this context, plays an important role for both tumor growth and for apoptosis and distant metastases. The mechanism underlying this overexpression appears to be the promoter hypermethylation of SPARC. Paclitaxel and docetaxel are cytotoxic drugs of proven efficacy in different types of solid tumors, mainly in ovarian cancer and breast cancer. The peculiar characteristic, however, is the hydrophobicity for which require specific solvents to which is allocated the known toxicity of these drugs. Abraxane is a second generation taxane conveyed by nano particles of albumin thanks to which the drug reduces its hydrophobicity and requires no toxic solvents. Abraxane in fact, use the natural characteristics of albumin to bind reversibly to paclitaxel transported through the endothelial cells and concentrated in the tumor area. Preclinical studies showed that Abraxane (nab-paclitaxel) has greater efficacy in breast tumors characterized by high levels of SPARC. Phase III studies have shown that Abraxane increases the survival of women with metastatic breast cancer, compared with a good toxicity profile, compared to conventional paclitaxel, when administered as a second line therapy. Currently, therefore, Abraxane is indicated for the second-line treatment of advanced breast cancer and its efficacy appears to be related to the levels of SPARC. Are ongoing phase II studies to demonstrate the efficacy of the drug in other solid tumors such as NSCLC, melanoma and ovarian cancer. In this context, abraxane shows a low toxicity profile, in particular in those patients who have experienced a hypersensitivity to paclitaxel. However, no comparative studies, and superiority / non-inferiority to the current standard of care that is currently the association Carboplatin Paclitaxel. The advantage arising from the use of Abraxane compared to traditional Paclitaxel is then the lesser toxicity profile with the consequent reduction in the incidence of hypersensitivity reactions. Is not described in the literature that there is a correlation between platinum resistance and levels of SPARC. This could be the starting point for other studies also in order to select the minority of patients responsive to Abraxane for whom Abraxane will be a target therapy.

PREVENZIONE DEL CARCINOMA OVARICO Dottoressa Federica Rossi Specialista in Ostetricia e Ginecologia Rappresentante Unione Medici Arabi I tumori dell’ovaio comprendono una gamma estremamente eterogenea di neoplasie diverse per istogenesi, storia naturale e prognosi. L’80-90% dei tumori ovarici si presentano in donne in età compresa fra 20-65 anni. Il 15-20% delle neoplasia annessiali è maligno e di questi, il 90% è diagnosticato in donne in età superiore ai 40 anni. L’incidenza del carcinoma dell’ovaio varia nelle diverse aree geografiche, con tassi più elevati in Europa e Nord America e rappresentano il 30% delle neoplasie del tratto genitale femminile costituendo, secondo le recenti stime del 2010 riportate dall’American Cancer Society, la quinta causa di morte per neoplasia maligna nel sesso femminile. L’incidenza varia nelle diverse fasce d’età, mostrando un picco fra i 50 e i 70 anni. Rispetto agli anni precedenti assistiamo a un progressivo incremento della sopravvivenza che attualmente risulta del 49,7% a cinque anni. Una prognosi così sfavorevole è legata alla malignità intrinseca della neoplasia stessa, all’assenza di sintomi e segni specifici tali da consentire una diagnosi precoce cosicché circa il 70% dei casi viene diagnosticato in stadio avanzato di malattia. Il rischio individuale di sviluppare un carcinoma dell’ovaio deriva dalla interazione di numerosi fattori tra cui l’età, l’area geografica di provenienza, la familiarità, le abitudini alimentari l’utilizzo di estro progestinici, impiego di terapie ormonali per l’ovulazione. È opportuno tuttavia ricordare che il 95% dei carcinomi ovarici insorge in pazienti senza particolari fattori di rischio. Pertanto anche se un programma di prevenzione dovesse rivelarsi efficace nell’ambito del gruppo di donne ad alto rischio, l’impatto sulla mortalità globale per questa neoplasia sarebbe modesto. Attualmente il National Cancer Istitute (NCI) suggerisce di sottoporre le pazienti ad alto rischio a controllo annuale con ecografia trans vaginale e dosaggio ematico marker CA125 con la possibilità di annessiectomia bilaterale nella paziente portatrici di mutazioni genetiche BRCA1/BRCA2. Allo stato attuale non ci sono prove sufficienti per giustificare la realizzazione di un programma di screening nella popolazione femminile generale, al contrario la ricerca di una familiarità positiva nella popolazione a rischio, sta assumendo sempre maggiore importanza clinica.

CARCINOMA OVARICO PROFESSOR GIOVANNI SCAMBIA Panoramica Il carcinoma ovarico rappresenta il settimo tumore per incidenza nella donna, con circa 250000 nuovi casi ogni anno nel mondo. Il suo alto tasso di mortalità, la precoce diffusione addominale di malattia e il trend incrementale di incidenza nei paesi industrializzati rendono lo studio di tale neoplasia e lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per la sua cura, elementi di grande interesse medico e sociale. Il fronte di ricerca tra nozioni consolidate e nuovi avanzamenti Ad oggi la terapia del carcinoma ovarico si gioca preminentemente sul tavolo operatorio, In tale senso appare ormai consolidato il ruolo prognostico di primo piano che riveste il residuo di malattia dopo chirurgia. Questo ha reso necessario incrementare lo sforzo chirurgico in maniera massimale, con procedure demolitive estese in tutto l’addome, dal diaframma alla pelvi, in accordo con la diffusione tumorale. Versatile si è invece dimostrato il ruolo della chemioterapia, sia nella preparazione alla chirurgia (neoadiuvante) sia nel consolidamento dei risultati operatori (adiuvante). Non deve dunque stupire l’introduzione di nuovi farmaci con target innovativi capaci di sinergizzare e implementare l’effetto delle terapie tradizionali, La storia naturale di questa patologia vede inoltre spesso delle riprese di malattia, nei confronti delle quali ad oggi ancora manca uno standard di trattamento. In questa direzione diverse strategie sia chirurgiche che mediche sono oggi oggetto di studio. A latere dell’aspetto strettamente oncologico occorre sottolineare come anche il trattamento chirurgico dell’ovaio si stia allineando, lì dove possibile, con le nuove tecniche miniinvasive laparoscopiche e robotiche al fine di ridurre quanto più possibile il discomfort post-operatorio senza intaccare l’efficacia del trattamento. Gli stadi precoci: diagnosi tempestiva e terapia mini-invasiva Nonostante più della metà dei casi di tumore ovarico esordisca con stadi già avanzati di malattia prediligendo la fascia di età compresa tra i 50 e i 69 anni, centri di riferimento quale il Nostro, possono anche trovarsi a gestire stadi iniziali, a volte anche in pazienti più giovani. Un ruolo di primo piano per il work out diagnostico in queste pazienti più che in altre, è sicuramente affidato all’ecografia; in mani esperte, questa metodica è infatti in grado di dirimere in maniera non invasiva e in fase pre-istologica quadri sospetti, orientando il ginecologo oncologo nel trattamento migliore, nel counseling più appropriato e in accortezze tecnico-chirurgiche. Da non molto inoltre si sono cominciati ad utilizzare in questo subset di pazienti, accessi chirurgici mini-invasivi (laparoscopia tradizionale, robotica, accesso unico ombelicale) che riducono la degenza, il dolore nonchè l’impatto psicologico ed estetico post-operatorio. Un nuovo fronte di studio si sta infine aprendo sull’aspetto di preservazione della fertilità con la crioconservazione ovarica e la chirurgia sparing seguita da stretti follow-up fino all’ottenimento di una gravidanza. Stadi avanzati: videat laparoscopico chirurgico e terapie antineoangiogenetiche In virtù del ruolo prognotico rivestito dal residuo di tumore dopo debulking chirurgico e dall’efficacia delle terapie antiblastiche di preparazione alla chirurgia è diventato progressivamentre sempre più importante riuscire a selezionare le pazienti in grado di beneficiare realmente di una chirurgia demolitiva in prima istanza. Centri come il Nostro utilizzano ormai routinariamente una valutazione sistematica laparoscopica di malattia prima di procedere a chirurgia, con l’intento di ridurre il tasso di interventi open (con taglio addominale) non ottimali o addirittura inutili. Sul fronte medico è ormai stato assodato da diversi studi internazionali, il beneficio in termini di sopravvivenza di farmaci contro la neoangiogenesi anche in questo tipo di tumore. Diversi protocolli sperimentali nella nostra Unità Operativa stanno testando l’effetto di tali terapie nelle varie fasi naturali della malattia. Recidive di malattia: il trattamento combinato chemio-chirurgico Il carcinoma ovarico tende a ripresentarsi più volte nel corso della vita delle pazienti con riprese di malattia addominali o linfonodali prevalentemente. Quale sia il trattamento più efficace in questi casi resta ancora un nodo da sciogliere. Di grande interesse e innovazione risulta essere, in questa direzione, l’uso combinato e concomitante della chemioterapia (HIPEC) e della chirurgic dove la somministrazione del farmaco avviene direttamente in addome dopo asportazione completa della malattia recidivante. Attualmente è in corso uno studio multicentrico, che vede il Nostro come centro coordinatore, mirato a vagliare l’efficacia di tale procedura con prospettive di estensione nella sua applicazione Prof. Giovanni Scambia Direttore Dipartimento per la “Tutela della donne, della vita nascente, del bambino e dell’adolescente” del policlinico “Agostino Gemelli”- Università Cattolica Sacro Cuore, Roma

PREVENTION OF OVARIAN CANCER PROFESSOR VITO TROJANO PRESIDENT A.O.G.O.I.

Ovarian cancer accounts for 3% of cancers in women, but it is the leading cause of death from gynecologic cancers and the fifth leading cause of all cancer-related deaths among women. Two thirds of cases of ovarian cancer are diagnosed in women over the age of 55 years. A family history of ovarian or breast cancer in a first-degree relative approximately triples the risk. The risk is particularly high among carriers of a BRCA gene mutation, with a lifetime risk of 39 to 46% among women with the BRCA1 mutation and a risk of 12 to 20% among those with the BRCA2 mutation. The risk is decreased among women who have used oral contraceptives, have been pregnant, or have a history of breast-feeding. More than two thirds of cases of ovarian cancer are diagnosed when the disease has progressed to stage III or IV and involves the peritoneal cavity or other organs. Symptoms that are associated with ovarian cancer are typically nonspecific, and the association is often not recognized until the disease has advanced. The investigators developed an index to try to establish a correlation between symptoms and the diagnosis of ovarian cancer. If women who were 50 years of age or older reported having had pelvic or abdominal pain, urinary frequency or urgency, increased abdominal size or bloating, or difficulty eating or feeling full more than 12 times in a month within the previous year, the index had a sensitivity of 67% and a specificity of 90%. The sensitivity was lower in those with early-stage disease (57%), and the specificity was lower in younger women (87%). Since ovarian cancer is often initially diagnosed at an advanced stage, when the prognosis is poor even with aggressive therapy, a screening method that facilitates early diagnosis has been actively sought. Routine Screening Criteria for disease screening that have been proposed by the World Health Organization. Some of these criteria are met for ovarian cancer, since the condition is frequently fatal, treatment is available that is effective at an early stage of disease, and early intervention improves the outcome. However, several features of ovarian cancer complicate the question of screening. First, the transition time from stage I to stage III is unclear, since it is not known whether there is an evolution from an early to an advanced stage or whether the disease may initially arise as a diffuse process in the peritoneal cavity. Furthermore, because there is no obvious precursor lesion, screening must focus on early detection of invasive cancer. Risk factors other than age, a family history of ovarian or breast cancer, and the presence of a BRCA mutation are poorly understood, and approximately 90% of ovarian cancers appear to be sporadic. Thus, screening algorithms must be geared toward a general population of women. Over the past 2 decades, two screening strategies have emerged, one based on ultrasound and the other based on serum CA125 measurement, with ultrasound as a second-line test. Ultrasonography Imaging of the ovary has been proposed as a strategy to detect changes in size and architecture that might precede the development of symptoms and detection by pelvic examination. Transvaginal ultrasonography is superior to transabdominal ultrasonography for detecting subtle details of ovarian structure and size. However, there has been considerable variation among observers in interpreting and scoring ultrasonographic images, and the sensitivity of several measures has been considerably lower in external validation studies. It has also been suggested that increased blood flow in the ovary on Doppler imaging indicates the presence of a malignant lesion, but this finding has been inconsistent, and the benefit, if any, of the addition of Doppler imaging to conventional ultrasonography has been limited. Tumor Markers Serum tumor markers have been evaluated for the early detection of ovarian cancer. This strategy is potentially attractive in that measurement of markers is broadly available, can be repeated at appropriate intervals, and is minimally invasive. In addition, such measurement does not depend on operator interpretation and is less costly than ultrasonography. Although CA-125 is frequently elevated in advanced-stage ovarian cancer, the protein is elevated in less than 50% of stage I ovarian cancers. Moreover, the specificity of the test is poor, since a number of benign and malignant conditions may result in falsely elevated CA-125 values. Other Markers More than 40 serum tumor markers have been evaluated in combination with CA-125 in tumor-marker panels, with the goal of improving sensitivity, specificity, and positive predictive value. Such tumor-marker panels have yet to be evaluated prospectively in large population-based studies, and their use in improving early detection and survival has not been established. Although it has been shown that screening can detect the cancer early and provide a survival benefit in the screened group, there is limited evidence that Ovarian Cancer Screening can affect mortality from the disease. The published data are conflicting. Screening for High-Risk Women Women who are at increased risk for ovarian cancer — including those who carry a BRCA mutation or who have a family history of breast or ovarian cancer, particularly if either cancer was diagnosed before menopause and if there are multiple affected family members — should be advised to undergo formal genetic counseling. Measurement of CA-125 and transvaginal ultrasonography every 6 months have been recommended by the National Comprehensive Cancer Network, although evidence is lacking to demonstrate that such screening results in a survival benefit for these women. The National Comprehensive Cancer Network also recommends strong consideration of risk-reducing bilateral salpingo-oophorectomy in women between the ages of 35 and 40 years, at the completion of childbearing or on the basis of the earliest age at which cancer was diagnosed in affected family members. Conclusions and Recommendations Practice points 1. Screening for ovarian cancer should only be undertaken in a research setting. 2. Although several groups have reported encouraging sensitivity and specificity, recent data from OCS in the Prostate Lung Colorectal and Ovarian Cancer Screening Tria has not shown a mortality effect. The results of the largest trial (UKCTOCS)38,40 are awaited in 2015 before definitive conclusions can be drawn. Research agenda 1. Apply the growing understanding of ovarian cancer aetiology and subtypes to OCS and risk prediction. 2. Discover novel biomarkers to improve the performance of CA125 in screening using carefully selected pre-diagnostic sample sets. 3. Refine morphological indices on ultrasound. 4. Improve risk stratification for ovarian cancer based on moderate- and low-penetrance genes in women in the general population. PREVENZIONE DEL CARCINOMA DELL'OVAIO Professor Vito Trojano Presidente AOGOI Il carcinoma dell’ovaio conta per il ​​3% dei casi incidenti di cancro nelle donne, ma è la principale causa di morte per tumori ginecologici e la quinta causa di tutti i decessi per cancro tra le donne. Due terzi dei casi di cancro ovarico sono diagnosticati in donne di età superiore ai 55 anni. Una storia familiare di carcinoma ovarico o mammario in un parente di primo grado triplica il rischio. Il rischio è particolarmente elevato tra i portatori di una mutazione del gene BRCA, con un rischio durante la vita del 39-46% tra le donne con la mutazione BRCA1 e un rischio del 12-20% tra quelli con la mutazione BRCA2. Il rischio è minore nelle donne che hanno usato contraccettivi orali, che hanno avuto diverse gravidanze o che hanno allattato al seno. Più di due terzi dei casi di cancro ovarico viene diagnosticato quando la malattia è progredita allo stadio III o IV e coinvolge la cavità peritoneale o di altri organi. I sintomi che si associano con il cancro ovarico sono in genere aspecifici e la patologia spesso non è riconosciuta fino a quando la malattia è molto avanzata. I ricercatori hanno sviluppato un indice per cercare di stabilire una correlazione tra i sintomi e la diagnosi di cancro ovarico. In donne con età maggiore di 50 anni che riferiscono un dolore pelvico o addominale, frequenza o urgenza urinaria, aumento delle dimensioni addominali o gonfiore, difficoltà a mangiare o sensazione di pieno più di 12 volte in un mese nel corso dell'anno precedente sono a rischio di avere un carcinoma dell’ovaio. Dal momento che il cancro ovarico è spesso diagnosticato in fase avanzata, quando la prognosi è infausta anche con una terapia aggressiva, un metodo di screening che facilita la diagnosi precoce sarebbe prezioso. Screening di routine I criteri per lo screening dei tumori sono stati proposti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Alcuni di questi criteri vengono soddisfatti per il cancro ovarico, poiché la condizione è spesso fatale, il trattamento è disponibile ed efficace in una fase iniziale della malattia e l'intervento precoce migliora la prognosi. Tuttavia, diverse caratteristiche del cancro ovarico complicano la questione dello suo screening, poiché non è noto se c'è un'evoluzione da una prima fase ad una fase avanzata o se la malattia può insorgere inizialmente come un processo diffuso nella cavità peritoneale. Inoltre, poiché non vi è alcuna lesione precursore ovvio, lo screening deve concentrarsi sulla diagnosi precoce del cancro invasivo. Altri fattori di rischio come età, una storia familiare di cancro al seno o ovarico, e la presenza di una mutazione BRCA sono scarsamente riconosciuti e circa il 90% dei tumori ovarici sembrano essere sporadici. Così, gli algoritmi di screening devono essere orientati verso una popolazione generale di donne. Nel corso degli ultimi 2 decenni, due strategie di screening sono emerse, una basata sull’ecografia e la seconda basata sulla misurazione del CA125 serico in associazione con l’ecografia. Ecografia La sorveglianza ecografica dell'ovaio è stata proposta come una strategia per rilevare variazioni di dimensioni e architettura che potrebbero precedere lo sviluppo di sintomi. L’ecografia transvaginale è superiore all’ecografia transaddominale per la rilevazione di dettagli sottili della struttura ovarica e delle dimensioni. Tuttavia, vi è una notevole variazione tra gli osservatori nell'interpretazione delle immagini ecografiche. È stato anche suggerito che l’aumento del flusso sanguigno nell'ovaio indica la presenza di una lesione maligna, ma questo risultato è incoerente ed eventualmente, il beneficio dell'aggiunta del Doppler-flussimetria ad ecografia convenzionale sembra limitato. Marcatori tumorali Sono stati valutati diversi marcatori tumorali sierici per la diagnosi precoce del carcinoma ovarico. Questa strategia è potenzialmente attraente perché la loro disponibilità è ampiamente facile, possono essere ripetuti ad intervalli appropriati e la procedura è minimamente invasiva. Inoltre, tale misura non è operatore-dipendente ed è meno costosa dell’ecografia. Sebbene CA-125 è spesso elevata negli stadi avanzati del carcinoma ovarico, questo non è vero per gli stadi precoci (aumento solo in 50% dei casi). Inoltre, la specificità del test è scarsa, dal momento che un certo numero di condizioni benigne e maligne possono provocare falsamente elevati valori di CA-125. Altri marcatori Più di 40 marcatori tumorali serici sono stati valutati in combinazione con CA-125 con l'obiettivo di migliorare la sensibilità, la specificità ed il valore predittivo positivo. Tali marcatori tumorali devono ancora essere valutati in modo prospettico in grandi studi di popolazione, e il loro utilizzo nel migliorare la diagnosi precoce e la sopravvivenza non è stata stabilita. Nella popolazione generale, i dati attuali, non consigliano lo screening del carcinoma dell’ovaio. Lo screening per donne ad alto rischio Le donne che sono ad aumentato rischio di cancro ovarico, come quelle che sono portatrici di una mutazione BRCA o che hanno una storia familiare di cancro al seno o alle ovaie e se ci sono più membri affetti nella famiglia - devono essere avvertite di sottoporsi a consulenza genetica oncologica. National Comprehensive Cancer Network raccomanda la misurazione del CA-125 ed una ecografia transvaginale ogni 6 mesi, anche se manca la prova che dimostra che i risultati di tale screening portano un beneficio in termini di sopravvivenza per queste donne. Conclusioni e raccomandazioni 1. Screening del cancro ovarico dovrebbe essere eseguito solo in un contesto di trial di ricerca. 2. Anche se diversi gruppi hanno riportato incoraggianti dati di sensibilità e specificità, dati recenti dall’ OCS in the Prostate Lung Colorectal and Ovarian Cancer Screening Trial non hanno dimostrato un effetto sulla mortalità. I risultati del più grande studio (UKCTOCS) sono attesi per il 2015 e dobbiamo aspettare prima di trarre conclusioni definitive Punti di ricerca 1. Comprensione dell’eziologia del carcinoma ovarico e suoi sottotipi e personalizzazione del rischio. 2. Ricerca di nuovi biomarkers per migliorare le prestazioni di CA125 nello screening 3. Ricerca di nuovi indici morfologici ecografici. 4. Migliorare la stratificazione del rischio genetico per il cancro ovarico

TUTELA DELL'INTEGRITA' PSICO FISICA DELLA PERSONA. FATTORI DI RISCHIO. RISARCIBILITA' DEL DANNO. PROFESSORE AVVOCATO GIORGIO SANTORO

Premessa

Assieme all’età, all’assetto ormonale, ai fattori ereditari, i “fattori ambientali” costituiscono uno dei principali fattori di rischio riconosciuti per il tumore all’ovaio. L’esposizione al talco e all’amianto possono rappresentare alcuni dei fattori ambientali in grado di promuovere e avviare la carcinogenesi ovarica, inducendo un’infiammazione cronica dell’epitelio ovarico. Allorquando l’esposizione dipenda da fatto doloso o colposo altrui si pone dunque il problema della risarcibilità del danno subito dalla persona esposta. Passeremo insieme in rassegna, ora, i punti salienti toccati dal travagliato percorso dottrinario e giurisprudenziale in materia di risarcibilità del danno alla persona. IL RISARCIMENTO DEL DANNO ALLA PERSONA: INQUADRAMENTO TEORICO E LINEE EVOLUTIVE

I principi su cui si basava il sistema di risarcimento del danno alla persona fino alla metà degli anni settanta del Novecento derivavano dalla cosiddetta “regola del calzolaio” elaborata dal giurista Melchiorre Gioia, nell’opera pubblicata a Lugano nel 1840 “Dell’ingiustizia dei danni, del soddisfacimento e delle relative basi di stima avanti i tribunali civili” e che esemplifica il problema nella seguente maniera: “Un calzolaio eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano in modo che non riesce a fare che una scarpa a giorno; voi gli dovete il valore della fattura di una scarpa e un quarto al giorno moltiplicato per il numero dei giorni che restano di vita, meno i giorni festivi”. Il danno alla persona, pertanto, si ripercuoteva esclusivamente sulla capacità lavorativa della vittima, onde, per calcolare il risarcimento, bisognava considerare il reddito, la gravità della lesione e l’età della vittima. Nel 1974 le contraddizioni del sistema tradizionale di valutazione del danno alla persona furono ben messe in evidenza da una sentenza del Tribunale di Genova per i casi in cui non vi fosse alcun reddito da lavoro (ipotesi di lesioni ad una casalinga, ad un pensionato, ad un minore). I Giudici genovesi hanno individuato nell’art. 32 Cost. e nell’art. 2043 c.c. i capisaldi normativi della risarcibilità del danno alla persona come ingiusto, in quanto compiuto in violazione al “diritto alla salute” e non alla generica “capacità lavorativa”. La rivoluzione introdotta dalla qualificazione, per tale via, del cosiddetto “danno biologico” comporta un chiaro effetto: non solo andranno considerate le menomazioni che si concretino in un danno funzionale alla capacità di produrre reddito, ma anche tutte le menomazioni che concretano riduzione all’efficienza fisio-psichica. Tale danno ha il pregio di poter essere liquidato in termini eguali per tutte le persone infortunate, salvo a tener conto delle rispettive età, cioè dalla probabile quantità di tempo durante la quale costoro dovranno vivere con quella menomazione prodotta dal danno subito.Nasce, così, il “danno extrapatrimoniale” un tertium genus rispetto alle categorie del danno “patrimoniale” e “non patrimoniale”. La Corte Costituzionale preferisce, nello stesso periodo, non parlare di un terzo tipo di danno, bensì di comprendere il danno alla salute nel tipo del danno “non patrimoniale” accogliendo una più ampia e generale portata delle norme che ne sono poste a presidio (art. 185 c.p. e art. 2059 c.c.), siccome tese a ricomprendere ogni danno non suscettibile direttamente di valutazione economica, come quello della salute (Corte Costituzionale sentenza n. 88 del 26/7/1979). Il decennio successivo è occupato dal travaglio di un ripensamento delle basi teoriche del problema (Sentenza n. 184/86). La Corte si pone un dubbio: i danni morali costituiscono, in realtà, l’essenza del danno “non patrimoniale” e l’ingiusto perturbamento dello stato d’animo del soggetto offeso comporta il pagamento di un “pretium doloris” non suscettibile di valutazione secondo criteri obiettivi ed uniformi, in quanto è soggettivo, e in tale contesto certamente non può inserirsi il danno alla salute. Il danno “non patrimoniale” va riconosciuto a chi ha subito sofferenze morali derivanti da fatti particolarmente offensivi come i reati, secondo una più attenta lettura dell’art. 2059 c.c. sostenuta dalla stessa “Relazione al Re Imperatore sul Libro delle Obbligazioni” dimessa dal guardasigilli Rocco nel 1942 ossia al “varo” del nuovo (per allora) Codice Civile.La Corte riconosce che il risarcimento del danno biologico costituisce il primo, essenziale risarcimento che condiziona ogni altra forma di riparazione, voce centrale e irrinunciabile “sempre presente” nel risarcimento del danno alla persona. Tale tipo di danno, inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica del soggetto, è sempre presente in ogni fatto illecito doloso o colposo, senza bisogno di alcuna prova. Si ritorna, per tale via, alla posizione del Tribunale di Genova e ai capisaldi della risarcibilità ravvisati negli artt. 2043 c.c. e 32 della Costituzione. Il danno biologico ricomprende tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana. In questo modo, esso va valutato in relazione alla integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività: non solo nella sfera produttiva, dunque, ma anche con riferimento a quella affettiva, culturale, sociale, sportiva, ove il soggetto leso svolga la propria personalità. Si è assistito, così ad un progressivo allargamento della nozione di “danno biologico”, al di fuori della sua matrice “medico-legale”. In modo particolare, al fine di tutelare alcuni aspetti della vita dei singoli danneggiati, altrimenti soggetti ai limiti dell’art. 2059 c.c. (ovverosia, l’essere vittima diretta del fatto – reato) individuando la sussistenza di tali categorie di pregiudizio, anche in assenza di una patologia fisica e/o psichica accertata. La Corte di Cassazione (sentenza 11/11/86 n. 6607) riconosce, per la prima volta, il risarcimento del danno biologico subito dal marito a causa di lesioni che avevano colpito la moglie, in seguito alle quali la stessa non poteva più intrattenere rapporti sessuali. Un danno che non è né “patrimoniale” né “non patrimoniale” in quanto avente radice nella lesione di un interesse della persona afferente al rapporto coniugale. Il decennio successivo reca con sé una migliore definizione della differenza tra danno morale e danno biologico. L’occasione viene fornita dall’esame della fattispecie del danno biologico dei sopravissuti derivante dall’uccisione del congiunto. La Corte Costituzionale (sentenza n. 3723/94) definisce “danno morale” “un patema d’animo o uno stato d’angoscia transeunte”, mentre “danno biologico” è il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell’equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, degenerato, però, in un trauma fisico o psichico permanente. È, ora, necessaria una lesione “in corpore” accertabile da una perizia medico-legale. La mera lesione dell’interesse, a prescindere da qualsiasi “perdita” non procura un danno, se non è possibile riconoscere le conseguenze funzionali che ne derivano. In tal modo nascono come reazione ad un sistema che non garantisce la tutela risarcitoria alle modificazioni peggiorative della sfera personale del soggetto, allorchè non siano tali da integrare la lesione alla salute suscettibile di giustificare il risarcimento del “danno biologico” e allorché il fatto non integri gli estremi del reato, così da rendere risarcibile il “danno morale”.In corrispondenza ad un rinnovato interesse verso i diritti della personalità tutelati dall’art. 2 della Costituzione, proliferano nuove voci di danno, come il danno “esistenziale” il danno da “mobbing”, il danno da “vacanza rovinata” e, più in generale, il danno da “stress”.P assano altri dieci anni e l’11/7/2003 con la sentenza n. 233 la Corte Costituzionale opera una vera e propria “svolta copernicana” nel sistema del danno alla persona. Essa esclude che l’ambito di operatività dell’art. 2059 c.c. possa essere circoscritto al sol danno morale “soggettivo”, alla sofferenza contingente e circoscritta, determinata dal fatto illecito integrante gli estremi di reato, così come essa stessa aveva ritenuto fin dalla storica sentenza n. 184/86. Nell’ambito dell’ordinamento attuale, il danno “non patrimoniale” deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno comprensivo di ogni ipotesi di lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona, non connotati da rilevanza economica, tutelati in virtù del collegamento tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 32 Costituzione. All’interno del danno non patrimoniale si può osservare una TRILOGIA di danni:danno “morale” soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo delle vittime del reato: danno “biologico”, inteso come lesione all’interesse costituzionalmente garantito, all’integrità fisica e psichica della persona, conseguente ad un accertamento medico; danno “esistenziale”, derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona. Si palesa, tuttavia, una difficoltà nel distinguere il danno morale da quello esistenziale, dal momento che quest’ultimo è, sovente, collegato ai disagi e ai turbamenti di tipo soggettivo ed assuma, quindi, una forte connotazione psicologica. La dottrina sottolinea, allora, come nell’area esistenziale debbano essere esclusivamente le ripercussioni esterne che l’illecito abbia prodotto a carico della vittima, prospettandosi per essa la necessità di adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi dal passato una rinuncia ad un “facere”, ad un’attività positiva; mentre, nell’ambito del danno morale, dovrà essere sempre qualificato il malessere di carattere psichico provocato dall’illecito, quindi una mera sofferenza soggettiva interna, in definitiva, un “pati”. Tuttavia è forte il rischio che si venga a creare una sovrapposizione tra danno morale ed esistenziale e di compiere, quindi, una duplicazione risarcitoria, liquidando due volte lo stesso pregiudizio: il “non fare” rappresenta, infatti, una conseguenza della sofferenza morale che in ogni caso deve essere valutata al momento della liquidazione del danno morale. Si specifica, ancora, che il danno esistenziale non è ravvisabile nella mera lesione dell’interesse costituzionale protetto, ma deve consistere in una perdita, nella privazione di un valore non economico, ma “personale”; si esclude, in tale modo, che il danno possa essere ravvisato “in re ipsa” nel senso che sarebbe coincidente con la lesione dell’interesse tutelato. È quindi necessaria la prova del pregiudizio subito. La liquidazione del danno riguardando la lesione di valori inerenti la persona, in quanto tali, privi di contenuto economico, non potrà che avvenire mediante il ricorso all’equo apprezzamento del Giudice. Purtroppo, i Giudici di Pace hanno talvolta ricondotto al danno esistenziale le conseguenze di lesioni di dubbio riferimento a precisi valori costituzionali, come nel caso, ad esempio, di disagio per contravvenzione illegittima, per sospensione dei voli, per ritardata attivazione del servizio telefonico, ecc..Si deve osservare, al riguardo, che la Corte Costituzionale non fa riferimento ad alcun criterio per la selezione degli interessi di carattere costituzionale meritevoli di tutela risarcitoria. Sarebbe deprecabile certamente l’invenzione di interessi di carattere costituzionale nuovi per permettere il risarcimento di stress e di disagi esistenziali tanto vaghi quanto pretestuosi. Ma … Sono trascorsi oltre dieci anni da quella storica sentenza della Corte Costituzionale. Dobbiamo attenderci allora un’altra svolta ? IL DANNO MORALE SOGGETTIVO

In virtù del disposto dell’art. 185 c.p. comma 2 ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole. In questa fattispecie, il risarcimento del danno viene pertanto a ricoprire la funzione di un “pretium doloris”, per chi ha subito sofferenze morali derivanti da fatti particolarmente offensivi all’ordine giuridico, per i quali maggiormente è sentito il bisogno di una più energica repressione, anche con carattere preventivo. Il danno morale soggettivo è un danno “in re ipsa”, in quanto l’unico presupposto per la risarcibilità è la configurazione di un fatto-reato.In questo modo il danno morale viene a svolgere una funzione prevalentemente punitiva, la quale permette di distinguere il danno morale da quello derivante da lesioni di interessi di rilevanza costituzionale (esistenziale). Ai fini del risarcimento del danno non è necessaria, comunque, una lesione della salute o un altro evento produttivo di un danno patrimoniale; infatti, il danno morale è risarcibile anche nei casi di reato tentato oppure di reato di pericolo, i quali sono in grado di determinare ugualmente, per il soggetto passivo, quelle sofferenze e quei patemi d’animo che ne rappresentato il contenuto. Non è necessario che il reato sia accertato in senso tecnico, essendo sufficiente far riferimento, al fatto-reato nella sua materialità, cioè che nella fattispecie siano astrattamente ravvisabili gli estremi di reato. In virtù dell’art. 198 c.p. l’estinzione del reato per la pena, per amnistia, per perdono giudiziale, per morte del colpevole o per prescrizione non importa l’estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato medesimo e, quindi, il riconoscimento del risarcimento. L’inesistenza di una pronuncia del Giudice penale non è di ostacolo alla liquidazione del danno morale, potendo il Giudice civile accertare, incidentalmente, la sussistenza degli elementi costitutivo del reato, grazie all’art. 75 c.p.p. che ha sancito il principio della unicità della giurisdizione e quindi l’autonomia e la separazione del giudizio penale rispetto a quello civile. Il Giudice civile può, inoltre, procedere alla liquidazione del danno morale anche nel caso di mancata proposizione della querela. IL CARCINOMA OVARICO E IL DANNO ALLA SFERA SESSUALE Nozione di danno alla sfera sessuale: E’ una “species” del danno biologico e, dunque, danno areddituale, risarcibile in base all’art. 32 della Costituzione. È integrato da una lesione che comporta la perdita o la diminuzione dell’attività degli organi sessuali, anche in una sola delle loro funzioni, che consistono (secondo la scienza medica, la psicologia e la psicoanalisi) in:sviluppo psico-fisico dell’individuo diretto al raggiungimento e al mantenimento della maturità sessuale; riproduzione; soddisfacimento della libido. Ai fini del danno biologico sono rilevanti i riflessi che la menomazione importa sul sistema neuropsichico della vittima, da cui dipende una equilibrato sviluppo in tutti i suoi aspetti (incluso quello relativo alla capacità lavorativa). La lesione è gravissima ed integra un reato è perseguibile d’ufficio. Si prospettano tre voci risarcitorie del danno: il danno alla salute, primario ed ineliminabile; il danno soggettivo morale da reato; il danno/conseguenza di natura patrimoniale. Una volta dimostrata, dal punto di vista medico, la lesione sessuale è provato sia l’an debeatur che il nesso di causalità tra fatto lesivo e danno subito.In relazione alla vita matrimoniale è risarcibile il danno morale subito dal coniuge non leso; è risarcibile anche il danno subito dal parente o dal convivente.Non vi sono oneri probatori per il “quantum debeatur” in virtù del fatto che la liquidazione può avvenire anche in via equitativa; tuttavia, è interesse del danneggiato offrire l’indicazione di circostanze di fatto rilevanti ai fini di consentire una più corretta, completa e personalizzata valutazione. Quanto al danno/conseguenza: l’onere della prova del nesso di causalità è a carico sia del danneggiato che del coniuge, il quale li richieda iure proprio. Si prospetta sia come danno “emergente” (le spese sostenute e da sostenere) che come “lucro cessante” (per le menomazioni alla capacità produttiva e concorrenziale, in relazione agli sviluppi e alle alternative di carriera o di opportunità).

IL CASO: LA SENTENZA “ETERNIT” NEL 2010. Giova ripercorrere l’impianto metodologico seguito dai giudici torinesi nel corpo della motivazione della sentenza che ha condannato per “disastro colposo” i magnati della Eternit. Entra in gioco l’art. 185 c.p. che, come si è visto, ammette il risarcimento del danno dipendente da fatto-reato, anche in assenza di danno biologico e di danno patrimoniale. La Corte Torinese: richiama il precedente costituito dalle SS.UU. Civili della Corte di Cassazione 21/2/2002 n. 2515 (Caso Seveso) per valutare se gli abitanti dei Comuni di Casale Monferrato e di Cavagnolo Brusasco attualmente sani possano o meno essere risarciti per “il turbamento psichico di natura transitoria” connesso al normale svolgimento della propria vita, causato dall’esposizione a sostanze inquinanti”. confronta ad essa la successiva sentenza SS.UU. Civili n. 26972 del 24/06/2008, la quale ha stabilito che la sofferenza “morale” “senza ulteriori connotazioni in termini di durata” integra pregiudizio. “ Deve trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale…essa ricorre ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nell’identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza” che, farebbero invece rientrare siffatte conseguenze nell’area del “danno biologico”. Mette in evidenza, per quanto riguarda il profilo probatorio, che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza che deve essere allegato e provato, onde potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. “Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri. Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”. Non potendosi dubitare, sostiene la sentenza del Tribunale di Torino, che le persone residenti da epoca risalente in Casal Monferrato e Cavagnolo vivano nel costante timore di contrarre una grave patologia asbesto correlata e, d’altra parte, che l’interesse di cui si chiede la relativa tutela sia di rango costituzionale, gli imputati vanno condannati al risarcimento in favore delle parti civili (cittadini sani residenti). Non riconosce il danno da esposizione, in quanto assorbito, alle parti civili cui è stato già riconosciuto il diritto al risarcimento del dano in qualità di lavoratori affetti da patologie asbesto correlato Non accoglie la sollevata eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, posto che il termine per la maturazione della prescrizione decorre “da quando il danneggiato, con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell’illecito, del danno e delle derivazioni causali dell’uno dall’altro”, conoscenza che deve essere riconnessa agli studi epidemiologici compiuti a far data dal 2002 i cui esiti (nei loro precisi termini, nella loro estensione e nella loro proiezione sul futuro) sono stati resi noti alle parti civili soltanto in occasione del processo. Sussiste, per la Corte Torinese, il diritto degli eredi legittimi della persona offesa dal reato a richiedere i danni patrimoniali e morali “iure hereditatis”, in quanto nel patrimonio del de cuius rientrano anche essi, se pur quantificabili in somme di denaro per le sofferenza patite. Le parti civili lavoratori, ex dipendenti dell’Eternit, affetti da malattie asbesto correlate e loro eredi, pur se incorsi nella prescrizione (per epoca di insorgenza o di diagnosi) sono stati ammessi a far quantificare il danno da esposizione in sede civile. CONCLUSIONI Attribuendo al danaro la funzione di strumento di soddisfazioni morali e materiali “sostitutrici” e “alleviatrici” delle sofferenze psicofisiche del leso, è stato possibile superare il problema della eterogeneità tra la natura del bene leso (morale) e la natura del mezzo impiegato per il risarcimento (denaro). La tradizionale ripartizione tra danno “patrimoniale” e “non patrimoniale” permane, allo stato dell’arte, il riferimento che consente, da un lato, di reintegrare il patrimonio delle vittime del carcinoma da esposizione a fattori ambientali nocivi e dei loro eredi, dall’altro, di avvantaggiarle nel ricrearsi condizioni sostitutive a quelle perdute, con l’attribuzione di una somma di denaro. Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale del 2003, non è più possibile identificare il danno non patrimoniale con una nozione unitaria: infatti, tale pronuncia, ha definitivamente respinto l’impostazione secondo la quale il danno non patrimoniale coinciderebbe con il danno morale soggettivo: allo stato attuale dell’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale, il danno non patrimoniale è caratterizzato per la presenza, nel suo ambito, di tre distinte e separate voci: il danno morale soggettivo, il danno biologico e il danno esistenziale o da lesione di interessi di rango costituzionale. Il sistema della responsabilità civile vigente nel nostro Paese garantisce, pertanto, alle vittime del carcinoma ovarico e ai loro eredi la piena reintegrazione dei diritti rispettivamente lesi, tanto sul piano solidaristico – satisfattivo rispetto all’individuo, quanto sul piano collettivo, oggi sempre più avvertito, ovverosia, di scoraggiare e prevenire la ripetizione di illeciti colposi o dolosi contro la persona umana. BIBLIOGRAFIA Alpa G., Il danno biologico: il percorso di un’idea, Padova, 1987 Franzoni M (a cura di), Le Obbligazioni da fatto illecito, vol. 2°, Torino, 2004; Patti G.B., Il risarcimento del danno biologico, Torino, 1999; Ziviz: Chi ha paura del danno esistenziale ? in Responsabilità Civile e Previdenza, 2002; Monateri – Bona – Oliva, Il nuovo danno alla persona, Milano, 1999 FONTI NORMATIVE Costituzione Art. 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Codice Penale:Art. 185: Ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili Ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbano rispondere per il fatto di lui. Codice civile Art. 2043: Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Art. 2059: Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge. PROFILO BIOGRAFICO E SCIENTIFICO DEL RELATORE Avvocato civilista e amministrativista; esperto in scienze amministrative e diritto sanitario Consulente di enti territoriali; già docente a contratto presso l’Università della Calabria

PROFESSOR MASSIMO LOPEZ

IL CANCRO OVARICO DALL'ANTICHITA' AI NOSTRI GIORNI

Considerato che si tratta di una malattia genetica, si ritiene che il cancro sia stato presente negli esseri umani da tempo immemorabile. Non fa eccezione il cancro ovarico, anche se i popoli antichi non erano a conoscenza di questa neoplasia. L’esempio più antico di un tumore ovarico è rappresentato da quello rinvenuto nella mummia egizia Granville, conservata al British Museum e risalente all’Antico Regno. Originariamente ritenuto di natura maligna, fu successivamente interpretato come cistoadenoma. Di recente (2010), un altro tumore ovarico (teratoma calcificato) è stato rinvenuto, in una donna di 30 ‐ 40 anni, durante gli scavi nel sito archeologico di La Fagonussa in Catalogna, Spagna. Risale al V secolo d. C. A cominciare dal Rinascimento, la conoscenza del cancro dell’ovaio è stata favorita dalla rinascita dell’interesse nella anatomia (Andrea Vesalio), nell’anatomia microscopica (Marcello Malpighi), nell’anatomia patologica (Giovanni Battista Morgagni), e nella patologia cellulare (Rudolf Virchow). La prima ovariectomia per un tumore ovarico è stata eseguita nel 1809, dal chirurgo americano Ephraim McDowell. Successivamente, tale intervento fu praticato sempre più frequentemente, ma le cose cambiarono radicalmente solo quando si poté disporre dell’anestesia generale e dell’antisepsi. Alla chirurgia, col tempo, si è affiancata la radioterapia, ma soprattutto la chemioterapia. Questa è nata negli anni '40 e, con la scoperta di un numero sempre maggiore di farmaci attivi, ha dato un notevole contributo alla guarigione del cancro dell’ovaio.

Nei tempi più recenti, alla chemioterapia tradizionale con farmaci citotossici, si è aggiunto il trattamento con farmaci a bersaglio molecolare.Il risultato complessivo dei trattamenti combinati ha fatto sì che il carcinoma ovarico, sia uno di quei tumori in cui, da alcuni anni, si è potuto constatare una diminuzione della mortalità.

Dottoressa IDA PAVESE

Multidisciplinari nel cancro ovarico In S.Pietro Hospital Cancer Center c'è una Unità di Oncologia complesso con un Day Hospital e una Unità di Radioterapia Avanzata in collaborazione con l'Università di Pittsburg Medical Center. Crediamo fortemente che consegna la cura del cancro ha bisogno di un approccio multidisciplinare. perché è il principale meccanismo per garantire cure veramente olistico per i pazienti e un servizio senza soluzione di continuità per i pazienti in tutta la loro traiettoria di malattia e di cura terziaria Ci sono addestrati a lavorare in team multidisciplinare e dal 2000 è attivo nel nostro ospedale un cancro Unità Ginecologica dove Oncologia, radioterapista , Patologo, Ginecologo, Chirurgo Ginecologo con le loro competenze gratuiti sono impegnati a uno scopo comune, obiettivi di performance, e l'approccio, per i quali si ritengono reciprocamente responsabili. Crediamo anche un team multidisciplinare (MDT) è un gruppo di persone di diverse discipline sanitarie, che si riunisce insieme in un dato momento (sia fisicamente in un luogo, o per video o teleconferenza) per discutere di un dato paziente e che sono ogni grado contribuire indipendentely alla decisione diagnostica e il trattamento sul paziente Nel cancro ovarico il MDT è estremamente importante perché la cura del cancro ovarico è sempre più complesso e si porta a più decessi tra le donne nel mondo sviluppato rispetto a tutte le altre neoplasie ginecologiche combinata. Questa povera prognosi è stato attribuito alla elevata percentuale di casi che si presentano in una fase tardiva. gran numero di personale sanitario sono coinvolti e un elevato potenziale di cattiva comunicazione e scarso coordinamento. Ci sono ancora alcune questioni MTD di lavoro finalizzato a risolvere a causa di un accesso non uniforme alle cure specialistiche, frequenti denunce di carenze nella fornitura dei servizi del cancro e una grande variazione (+ locale regionale) in trattamenti utilizzati, caseloads, Perspection paziente per la qualità delle cure e la sopravvivenza del paziente. La MDT massimizzare tutte efficacia clinica e la coerenza, la continuità, il coordinamento , e il costo-efficacia delle cure. Aumenta una migliore comunicazione tra operatori sanitari, migliora i risultati clinici, dà migliori opportunità di revisione, aumenta l'assunzione di trias clinici e la soddisfazione psicologica e il benessere dei pazienti , ma siamo pronti a lavorare in un MDT? I principali ostacoli ad una ottimale MDT sono specialista che agiscono giocatori come cattivi, l'apatia, tha riluttanza a cambiare, le risorse insufficienti, la comunicazione inefficace e di coordinamento, e la limitazione nel tempo. Circa l'impatto della MDT sul risultato clinico abbiamo solo pochi dati riguardanti i processi decisionali MDT, il loro funzionamento, e l'efficacia nel migliorare i risultati di salute misurabili, ma pochi studi (Eaker S et al, Cancer Epidemiol Biom Prev 2005; 14: 2914/Fleissig et al Lancet Oncol 2006; 7. 935-943 ) dimostra che l'effetto di approccio MDT sulla cura del cancro è significativamente migliore rispetto approccio convenzionale perché ottimizza il processo decisionale, migliora la cura del cancro di qualità e migliora l'outcome clinico. donne vogliono sempre fare qualcosa che sta per essere buono per loro, ma abbiamo sempre da soppesare i benefici dell'intervento con i danni dell'intervento, e penso che abbiamo sempre voglia di praticare la medicina basata sull'evidenza. Dato che l'identificazione di antigeni tumore (CA) -125 nel 1981, questo marcatore siero è stato ampiamente valutato come test potenziale di screening per il cancro ovarico. Approssimativamente nello stesso tempo, ecografia pelvica stato anche suggerito come potenziale approccio alternativo a schermo per questa malattia. Nonostante la promessa iniziale di entrambe queste tecniche, lo screening per il cancro ovarico nella popolazione generale è rimasta una sfida intrattabile. Sfortunatamente, per il cancro ovarico nella popolazione generale, questi criteri non sono ancora stati definitivamente raggiunti e mentre sia ultrasuoni e CA-125 sono molto sensibili per rilevare il cancro in fase avanzata, né ha dimostrato come bravi ad individuare la malattia in fase iniziale. Abbiamo bisogno di requisiti efficaci al fine di costruire un programma di screening, perché il test di screening deve essere abbastanza sensibile per rilevare il cancro in un punto precedente nel suo naturale Storia (in genere indicata dal turno stadio), la prova deve essere sufficientemente specifico per fornire un valore predittivo positivo accettabile (per il cancro ovarico questo è stato un po 'arbitrariamente fissato a un minimo del 10%, vale a dire, non ci dovrebbero essere più di nove interventi chirurgici eseguiti a causa di falsi test di screening positivo per ogni caso di cancro invasivo diagnosticato), il trattamento al momento del rilevamento dello schermo deve migliorare il risultato . rispetto al trattamento ritardato fino a quando i sintomi compaiono Sfortunatamente, per il cancro ovarico nella popolazione generale, questi criteri non sono ancora stati definitivamente soddisfatte . Mentre sia ultrasuoni e CA-125 sono molto sensibili per la rilevazione avanzata cancro della fase, né ha dimostrato come bravi ad individuare la malattia in fase iniziale. In un recente studio (Prostate, Lung, Colorectal e Ovarian (PLCO) screening di prova 78.216 donne di età compresa tra 55-74 anni sono stati randomizzati a terapia tradizionale o screening del cancro ovarico con ecografia transvaginale annuale (TV US) per 4 anni ed annuale CA-125 test siero per 6 anni, 42 (69%) dei 61 incidenti invasiva tube di Falloppio e ovaie sono stati rilevati schermo. Tuttavia, 28 (67%) di questi 42 tumori su schermate rilevato (e il 76% di tutti i cancri nelle donne sottoposte a controlli) erano allo stadio III o tumori al IV stadio .. il valore predittivo positivo di uno schermo indicata la biopsia chirurgica è stato solo del 3,2% su schermo prevalente e 4,9 al 9,5% in ciascuno dei primi tre schermi annuali incidente, nonostante la combinazione di TV US e CA-125 portando ad una biopsia, ottenendo una specificità superiore al 98% in tutti i cicli di screening. Nessun miglioramento nella mortalità in gruppo sottoposto a screening. (più di uno su 30 donne che partecipano al braccio di screening ha subito esplorazione chirurgica a causa di un risultato anormale, con solo il 6,3% di queste donne che hanno un tumore invasivo identificato) Per ALTO RISCHIO TUMORE OVARICO DONNE salpingo oophorecyomy dopo la gravidanza rappresents attuale standard di cura. Donna con mutazioni in BRCA1, BRCA2 o un gene mismatch repair associata con la sindrome di Lynch, o sia una storia familiare di carcinoma ovarico e un parente di primo grado affetto da due ovaie, seno ad insorgenza precoce o cancro al colon. L'incidenza di carcinoma ovarico nelle donne withBRCA1 o mutazioni BRCA2 (le cause note più comuni di cancro ovarico familiare) di età superiore ai 50 anni è rispettivamente di 1,0-2,5% per anno e ,4-0,8% all'anno. Nel Regno Unito familiare ovarico Studio dello schermo Cancer (UK FOCSS), 563women a più di un rischio del 10% di cancro tube di Falloppio o ovarico sono stati esaminati con TV annuale degli Stati Uniti e annuale CA-125 per una media di 3,2 anni. Solo sei su 23 (26%) dei tumori proiettato nel corso dell'anno precedente sono stati diagnosticati in stadio IIIC o superiore rispetto a sei dei sette (86%) dei tumori nelle donne non proiettati durante l'anno prima della diagnosi il 30 (5,6%) di 538 BRCA1 o BRCA2 noto portatori della mutazione sono stati diagnosticati con cancro invasivo . Allo stesso modo, tre (4,6%) dei 65 portatori della mutazione mismatch repair sono stati trovati ad avere il cancro invasivo. Tuttavia, tra i 2960 partecipanti senza una mutazione nota, solo quattro (0,14%) ha avuto un tumore invasivo diagnosticato nei media 3,2 anni di follow- up storia afamily non è più un surrogato accettabile per il rischio genetico di cancro ovarico Inoltre, pur non statisticamente significativa, c'erano anche le tendenze verso il miglioramento della citoriduzione ottimale (91,3% v 57,1%) e la sopravvivenza globale (sopravvivenza media complessiva, 71,9 mesi contro 48,4 mesi) in pazienti sottoposti a screening il tasso di falsi-positivi era accettabile, con solo il 1,5% delle donne sottoposte a chirurgia spinto i risultati di screening falsi positivi, in ultima analisi, il raggiungimento di un valore predittivo positivo del 25,5% per lo screening. il primo dei due grandi studi prospettici verificare l'ipotesi che lo screening del cancro ovarico forse benefico nelle donne a rischio familiare. Questi risultati forniscono un raggio di speranza che, almeno per i pazienti a rischio di cancro ovarico familiare, un efficace programma di screening del cancro ovarico può essere realizzabile in futuro due grandi studi clinici daranno una risposta fare le nostre domande: Gynecologic Oncology Group 0199 trial, un studio prospettico di RRSO e longitudinali di screening CA-125 tra le donne ad aumentato rischio genetico di cancer.22 ovarico Questi risultati sono attesi nel 2014. Ed un UK FOCSS di fase II l'intervallo di screening per CA-125 determinazione è stata ridotta a 4 mesi, e la soglia e work-up per le prove ripetute è ora il protocollo spinto il primo orientamenti chiari sul fatto che lo screening per il cancro tube di Falloppio ovarico e sarà una valida alternativa alla chirurgia di riduzione del rischio per le donne a rischio ereditari per questi tumori. Migliorare i metodi di screening e di altre misure di prevenzione nel cancro ovarico è una priorità assoluta in tutto il mondo a istituzioni come l'Università di Pittsburgh Cancer Institute (UPCI) in Pennsylvania. Fino fase I del Regno Unito FOCSS sostengo la raccomandazione corrente che le donne a rischio ereditate che declinare RRSO nel loro 30s dovrebbe considerare lo screening per il cancro ovarico da circa 35 anni di età fino a quando non sottoposti ad intervento chirurgico di riduzione del rischio definitivo, come raccomandato entro e non oltre i loro primi anni '40. né lo screening né intervento chirurgico di riduzione del rischio dovrebbe essere offerto a donne a rischio familiare putativo fino al completamento formale di valutazione del rischio genetico e la consulenza con test genetico appropriato. Fino fase 2014 I del Regno Unito FOCSS sostengo la raccomandazione corrente che le donne a rischio ereditario che declinano RRSO nel loro 30s dovrebbe considerare lo screening per il cancro ovarico da circa 35 anni di età fino a quando non sottoposti ad intervento chirurgico di riduzione del rischio definitivo, come raccomandato entro e non oltre i loro primi 40s.2 né controlli né un intervento chirurgico di riduzione del rischio dovrebbe essere offerto alle donne a rischio familiare putativo fino formale valutazione del rischio genetico e la consulenza con test genetico appropriato è stato completato. Fino al 2013 né lo screening né chirurgia di riduzione del rischio dovrebbe essere offerto a donne a rischio familiare putativo fino formale valutazione del rischio genetico e la consulenza con test genetico appropriato è stato completato Ida Pavese, MD Direttore DH Oncologico Ospedale S.Pietro Fatebenefratelli di Roma

Si ringrazia Motta Servizi&Logistica S.p.A.Si ringrazia Motta Servizi&Logistica S.p.A.

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